Curare un bonsai è un’arte in cui non ci si improvvisa: è un albero miniaturizzato che si sviluppa con anni di pazienza e cure al pari della stessa pianta che cresce negli spazi aperti… occhio ai falsi!

Chi pensa che far crescere un albero che, in natura, raggiunge altezze di diversi metri, sia una insulsa castrazione per la pianta, non ha capito niente dei bonsai. Basta conoscerne le origini e le motivazioni per rendersi conto che non è una semplice tecnica colturale, tanto meno il risultato di una delle tante prove di forza che l’uomo esercita sulla natura.

Wisteria-Glicine. Apprezzato per la sua ricca fioritura, diventa poco interessante nell’inverno, quando perde anche le foglie. Non rimargina i tagli in tempi brevi, ma forma gemme nuove dal tronco con facilità; predilige il pieno sole, ma quando fa molto caldo è meglio riporlo a mezz’ombra.

I bonsai sono nati diversi secoli prima di Cristo in Cina, ad opera di monaci buddisti che volevano introdurre nei loro luoghi di culto le bellezze della natura, iniziando a coltivare esemplari in miniatura con rispetto e pazienza; solo molti secoli dopo l’arte (o, meglio, la disciplina) dei bonsai si è diffusa anche in Giappone e, solo da fine ’800, anche in Occidente.

Juniperus chinensis. I ginepri sono tra le piante più utilizzate: rispondono bene a tutte le tecniche, ma a causa della loro lenta crescita i risultati della coltivazione affiorano col tempo. Attenendosi alle regole di coltivazione e applicando le tecniche, si ottengono esemplari dalle qualità eccezionali.

Come gli alberi “tradizionali”, i bonsai impiegano molto ad assumere l’aspetto di piante adulte e possono sopravvivere a più generazioni: chi ha frequentato qualche mostra ha potuto osservare con stupore bonsai che hanno diversi secoli, al mondo ne esistono alcuni quasi millenari.

Azalea-Rhododendron. In Giappone simboleggia la primavera; come aceri e pini, è tra le essenze più utilizzate poiché possiede tutte le caratteristiche ideali: foglie minute, caduche o perenni, tronco rugoso e gradevole, buon nebari (il piede), crescita rapida e soprattutto è particolarmente adatta alle forme a palchi. Grazie alla facilità con cui germoglia, in qualunque parte del fusto tollera anche potature drastiche. Si può modellare in quasi tutti gli stili.

Un vero bonsai adulto, perciò, è una pianta che ha quanto meno diversi decenni, niente a che vedere con le imitazioni che si vedono sulle bancarelle a 10-20 euro e che sono miniature ricavate da porzioni di pianta forzate a crescere in un certo modo: è come avere su una mensola la miniatura della torre di Pisa e farla passare come il monumento riprodotto in scala.

Acer palmatum. Pianta particolarmente apprezzata per le sue continue e spettacolari trasformazioni che seguono il ritmo delle stagioni: dal momento dei teneri germogli primaverili allo splendore rigoglioso del fogliame durante l’estate, fino al magnifico rosso fuoco delle sue foglie in autunno. Dopo la caduta delle foglie mostra la sua elegante silhouette e la finissima e inconfondibile ramificazione. È longeva e facile da modellare, risponde bene alle tecniche di coltivazione.

Per imparare ad allevare bonsai è necessario frequentare qualche corso come quelli organizzati da Crespi Bonsai, che offrono una preparazione a diversi livelli; altrimenti bisogna accontentarsi di fare qualcosa di simile che ha il solo scopo di appagare l’occhio, accettando il fatto che nulla ha a che vedere con l’arte orientale di coltivare esemplari in miniatura in piena armonia con la natura. In entrambi i casi bisogna iniziare con specie che presentino basse difficoltà di coltivazione, magari meno scenografiche, ma che possono stimolare a comprendere e apprezzare questa antica arte.

Malus. Le specie più utilizzate nella coltivazione a bonsai sono il Malus evereste, sieboldii e il Malus halliana. Il secondo ha una caratteristica corteccia chiazzata, rami fini piuttosto rigidi di colore violaceo e fiorisce in primavera alle estremità dei rami. Il terzo, il Malus halliana, fin dall’antichità in Cina era amato come albero da fiore: possiede una ramificazione fine e ha una corteccia liscia e grigia.
Uno dei vantaggi maggiori di queste specie ai fini della formazione a bonsai è la rapidità di crescita che permette di ottenere buoni esemplari in pochi anni. Gli stili a cui maggiormente si adattano sono l’eretto informale o inclinato.

Camellia. Interessante per la sua spettacolare fioritura, ma anche per altre caratteristiche importanti nei bonsai: la foglia piccola, la chioma folta e gli internodi corti. Fra le varietà più amate vi è senz’altro la Camellia sasanqua che è anche la più piccola e compatta. Gli stili a cui meglio si adatta sono: eretto formale, inclinato, cascata, due tronchi e ceppo comune, nelle dimensioni medie e grandi.

 

La cura dei bonsai

Somministrare correttamente l’acqua

Prima di mettere la pianta nel vaso bisogna ricoprire i fori di drenaggio, per impedire che il terriccio si disperda attraverso di essi. I negozi specializzati forniscono confezioni da 50 tasselli di reticella in materiale plastico inalterabile nel tempo che non ostacolano la fuoriuscita dell’acqua, consentono l’aerazione delle radici e bloccano l’ingresso agli insetti.

Quando si nebulizza la chioma per rinfrescare la pianta o si innaffia a pioggia, bisogna sempre utilizzare acqua priva di calcare, meglio se demineralizzata; in caso contrario sulle foglie potrebbero formarsi macchioline biancastre che, oltre a essere antiestetiche, risultano dannose per l’apparato fogliare.

Si può anche utilizzare un innaffiatoio di modeste dimensioni per somministrare l’acqua direttamente sul substrato; meglio comunque che sia provvisto di pigna, il getto copioso rischia di smuovere il terreno e la maggior parte dell’acqua se ne va attraverso i fori di drenaggio senza essere assorbita dal terreno.

Il metodo migliore, anche se non valido per tutte le piante, rimane quello di mettere il vaso a bagno per metà altezza, lasciar assorbire l’acqua dai fori di drenaggio e sgrondare bene.

Il substrato ideale

Tra i substrati specifici vanno ricordati: il ketotsuchi, per bonsai su roccia o lastra, ricco di sostanze nutritive e a consistenza viscosa per aderire anche su pareti rocciose verticali; il kiryuzuna, raccomandato per conifere e ginepri e utilizzato come drenante per altre specie; l’akadama, per il drenaggio perfetto (in Giappone i bonsai si coltivano in akadama puro), neutro o leggermente acido. In varie granulometrie, si utilizza con concime organico in pastiglie; le innaffiature devono essere più frequenti. Si utilizzano inoltre lapillo lavico, pozzolana, sabbia e ghiaia.

Potature e tagli

L’unica potatura rigorosa è quella d’impostazione, che serve a definire la forma, tutte le altre sono potature di mantenimento. Come gli alberi, anche i bonsai tendono a crescere nelle parti più elevate ed esterne (dominanza apicale) e questo meccanismo tende a soffocare i rami bassi e interni. Con la potatura periodica, durante tutta la fase di crescita, la pianta sviluppa un fogliame denso; si usa un tronchese per gli alberi decidui, pini e conifere vanno pizzicati con le mani per non causare punte marroni vicino ai tagli. Eliminare le foglie degli alberi decidui in estate spinge l’albero a mettere nuove foglie più piccole e incrementa la ramificazione.

1 Taglio ben fatto
2 Taglio mal fatto
3 Taglio corretto sopra la gemma
4 Taglio mal fatto
5 A causa del taglio mal fatto la pianta necrotizza fino al punto in cui avrebbe dovuto essere tagliata

 

Shohin e mame: i Minibonsai

Un albero è considerato uno Shohin quando la sua altezza è inferiore a 25 cm, quindi ancora più piccolo di un bonsai. Letteralmente il termine significa “cosa piccola”, tant’è che lo Shohin deve poter essere tenuto nel palmo della mano; tuttavia esistono bonsai ancora più piccoli, che vengono definiti Mame quando non raggiungono un’altezza di 10 centimetri. Se già i bonsai tradizionali richiedono cure particolari, per gli Shohin e i Mame le attenzioni sono ancor più impegnative: le dimensioni dei vasi si riducono ulteriormente, di conseguenza le microconcimazioni e le microinnaffiature devono essere più frequenti. Bisogna anche accettare il fatto che le piante appaiano meno realistiche rispetto ai bonsai, che rappresentano perfettamente una miniatura della pianta così come si svilupperebbe senza costrizioni, perché l’ulteriore riduzione comporta la perdita di alcuni dettagli. La coltivazione di questi esemplari non è praticata, infatti, come una mera passione botanica, ma più per motivi idealistici, come una forma d’arte.

Bonsai ambientati

Anziché coltivare la pianta singola in vassoio è possibile realizzare scene ambientate con uno o più bonsai. Utilizzando contenitori più grandi, si possono formare foreste o boschetti con più piante dello stesso tipo: in giapponese questa è la tecnica Yose-ue, nella quale si utilizzano piante di taglia diversa curando la prospettiva per ottenere scorci realistici e dare profondità alla scena senza nascondere un albero dietro l’altro, considerando come elementi di rilievo i tronchi piuttosto che le ramificazioni. Nei boschetti si evita l’uso di elementi accessori quali corsi d’acqua, rocce, costruzioni che sono tipici invece della tecnica per ambientare i bonsai denominata Bonkei (paesaggio in miniatura). Per questi paesaggi si tende a scegliere come punto di partenza una roccia con forma a montagna piuttosto scoscesa che presenti anfratti in cui collocare le piante (se non ci sono, vanno ottenuti per scalpellatura), opportunamente preparate riducendone l’apparato radicale, se questo è troppo sviluppato per lo scopo. Per i buddisti la tecnica Bonkei era ispirata al sacro monte Shumi, considerato il centro dell’universo; per i filosofi taoisti, invece, simboleggiava il loro paradiso denominato Horai.

Un falso bonsai da una pianta giovane

La pianta di partenza è un giovane esemplare di Chamaecyparis pisifera (cipresso) del costo di circa 10 euro. Per prima cosa bisogna iniziare a pulire l’albero, decidendo che forma dargli e pulendo un po’ il tronco alla base: bisogna ricordare che potare è facile, far ricrescere i rami è più complicato e richiede tempo. Per i rami più grandi si utilizza un tronchese concavo, il cui taglio guarisce meglio.

Il filo per legare deve avere circa 1/3 del diametro del ramo. Si inizia da quelli più grossi, applicando il filo con un angolo di circa 45°. Solo dopo aver legato tutta la pianta si possono piegare i rami per formare la chioma nel modo esteticamente più valido.

Il vaso in cui trasferire la pianta si prepara facendo passare nei fori di drenaggio, da sotto, i fili per legare la pianta, attraversando anche i tasselli di rete che trattengono il terriccio, e lasciandoli sporgere abbondantemente da sopra.

Nei kit per principianti il substrato è fornito già premiscelato nelle giuste proporzioni per garantire ritenzione idrica, ma al tempo stesso drenaggio e aerazione ottimali; di solito akadama, ghiaia fine e lapillo vulcanico (rapporto 2:1:1).

Per estrarre la pianta dal vaso di plastica basta comprimerlo un poco di lato per deformarlo, poi afferrare la base del tronco e sollevarla.

Scrollando un poco e aiutandosi con le mani si elimina il terriccio in eccesso e si inizia a liberare le radici, badando di non rovinarle.

Per liberare meglio le radici ci si può aiutare in seconda battuta con un uncino. Per adattarle al nuovo vaso è necessario poi accorciarle, potandole anche fino a 1/3 della loro lunghezza.

Si preleva un po’ di terriccio premiscelato e lo si dispone sul fondo del vaso.

Se il vaso non ha una forma circolare, ma rettangolare o ellittica, prima di posizionare la pianta bisogna decidere quale sarà il fronte e orientarla di conseguenza. L’albero va comunque inserito decentrato.

Si fissa la pianta con i fili lasciati sporgere in precedenza, badando che rimanga irrigidita, senza incidere il legno, nella posizione desiderata.

Si ricoprono le radici con la terra e, utilizzando le bacchette, ci si assicura che non si formino bolle d’aria nel pane radicale.

d’aria nel pane radicale.
12 Completato il rinvaso non resta che irrigare abbondantemente l’albero e far sgrondare completamente l’acqua in eccesso. A distanza di tempo la pianta andrà comunque rinvasata nuovamente, perché il substrato si impoverisce di sostanze nutritive. Gli alberi a crescita rapida vanno rinvasati ogni due anni (a volte ogni anno), quelli vecchi e maturi ogni 3-5 anni.
Basta comunque rimuovere con cura la pianta a inizio primavera e osservare le radici: se circondano il sistema radicale è necessario il rinvaso, se sono ancora interrate si aspetta l’anno successivo.

Bonsai Empire

 

Leggi anche l’articolo sul ficus ginseng bonsai.

 

Cura dei Bonsai | Sempreverdi, spoglianti, da fiore e da frutto ultima modifica: 2018-08-16T10:14:50+02:00 da LD

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