La coltivazione del tartufo dà risultati diversi a seconda delle diverse varietà, nonostante la tartuficoltura sia ancora, per certi aspetti, allo stadio sperimentale
È bene definire un aspetto chiave: coltivare tartufi non è semplice. Questo perché è necessario adottare non solo tecniche di coltivazione diverse e più esigenti rispetto alle più comuni piante, ma soprattutto perché i risultati, attualmente ottenuti dopo svariate sperimentazioni in Francia e Italia, hanno prodotto risultati contrastanti. Se infatti alcune varietà di tartufo hanno consegnato coltivazioni e “raccolte” soddisfacenti, la varietà più pregiata, il tuber magnatum, non ha ancora permesso di osservare migliorie.
Per nascere e svilupparsi, i tartufi hanno bisogno di terreni particolari con condizioni climatiche altrettanto specifiche: il suolo deve essere soffice e umido per la gran parte dell’anno, deve essere ricco di calcio e con una buona circolazione di aria. Proprio tutti questi fattori ambientali fanno sì che il tartufo bianco diventi un fungo raro e ambito. La raccolta avviene generalmente da metà settembre a dicembre.
Coltivare tartufi
Un terreno adatto alla produzione del tartufo è senza dubbio uno molto calcareo e povero di humus. Come prima fase, è essenziale selezionare la varietà di tartufo che desideriamo “clonare”. Successivamente, bisogna impiantare quelle particolari essenze arboree e arbustive tartufigene, come la quercia, il nocciolo, il salice e il leccio. Una condizione fondamentale sta nella scelta delle essenze arboree, le quali devono essere precedentemente micorrizate. La micorizza non è altro che un’associazione simbiotica tra un fungo e una pianta superiore.
Discreti successi si sono avuti con l’impianto di piantine micorrizzate in aree boschive dove il tartufo cresce naturalmente, mentre altre micorrizzate “artificialmente” non hanno prodotto i risultati sperati. Il tempo di attecchimento medio è di circa 4 anni; all’undicesimo si raggiunge l’apice produttivo che persiste anche fino a 80 anni.
L’Unione europea ha da qualche anno finanziato le neoformazioni di tartufaie e, dal 2014, riconosce i tartufi come autentici prodotti agricoli. Una misura che nel nostro Paese deve essere ancora recepita per gli importanti vantaggi, portando di fatto la tassazione del prodotto fino al 10% (non più il 22%). In Italia la ricerca del tartufo è ancora “libera nei boschi e nei terreni non coltivati”. Una “passione” (perché no?) che, per il momento, sta rallentano la coltivazione dei “funghi” più pregiati e saporiti.
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